La vita invisibile di Addie LaRue

.: SINOSSI :.

“Non pregare mai gli dèi che sono in ascolto dopo il tramonto.”

E se potessi vivere per sempre, ma della tua vita non rimanesse traccia perché nessuna delle persone che incontri può ricordarsi di te?
Nel 1714, Adeline LaRue incontra uno sconosciuto e commette un terribile errore: sceglie l’immortalità senza rendersi conto che si sta condannando alla solitudine eterna.
Tre secoli di storia, di storie, di amore, di arte, di guerra, di dolore, della solennità dei grandi momenti e della magia di quelli piccoli.
Tre secoli per scegliere, anno dopo anno, di tenersi stretta la propria anima.
Fino a quando, in una piccola libreria, Addie trova qualcuno che ricorda il suo nome.

.: IL NOSTRO GIUDIZIO :.

La vita invisibile di Addie LaRue è uno di quei romanzi che non si ama o si odia. Nel mio caso si odia.
La trama è inesistente è tenuta in piedi da situazioni sempre uguali che, di capitolo in capitolo, non aggiungono nulla di nuovo e si limitano a ripetere fino all’esaurimento gli stessi tre concetti che sono alla base del romanzo: una ragazza che stringe un patto con un demone e diventa immortale, nessuno può ricordare il suo nome né lei può lasciare traccia del suo passaggio, dopo trecento anni un ragazzo non dimentica il suo nome e i due si innamorano.
Nel mezzo quattrocento pagine di nulla.
I personaggi sono privi di qualsiasi tipo di caratterizzazione: i protagonisti degenerano lentamente e riescono a distinguersi solo grazie al banco di pesci rossi costituito da i personaggi secondari.
Definire Adeline LaRue una Mary Sue è quasi un’offesa per l’intera categoria. Nonostante Adeline (Addie) abbia trecento anni, si ostina a comportarsi come una ragazzina di quindici anni: bellissima, affetta da egocentrismo degenerativo e totalmente incapace di provare empatia per il prossimo. Se, come nei romanzi young adult, la protagonista fosse stata un’adolescente, questi dettagli non mi avrebbero particolarmente infastidito, ma la sua storyline comincia a cavallo tra il quindicesimo e il sedicesimo secolo quando una ragazza di ventitrenne era più prossima a diventare nonna che non ad avere il primo mestruo e, di conseguenza, anche il grado di maturità era decisamente diverso da quello di una sua coetanea millennial. Alla luce di ciò la caratterizzazione di Addie appare non solo illogica, ma non coerente con quello che dovrebbe essere il suo background culturale e sociale.
L’altro grosso problema che affligge il personaggio è quella che io chiamo “Sindrome di Ezio Auditore“: ovvero l’onnipresenza del personaggio in uno o più eventi storici. Esattamente come i protagonisti della saga di Assassin’s Creed, in trecento anni Addie è una costante comparsa della storia e, ovviamente, la percorre ispirando quadri ed opere d’arte o addirittura scrivendo libri che verranno poi pubblicati a nome di Hemingway o altri grandi della letteratura.
Come ci viene ribadito per un numero imprecisato di volte, Addie non può muorire e in trecento anni, non si sa bene quante rivoluzioni e due guerre mondiali non ha mai pensato di fare qualcosa di veramente utile per la società come, che so, cercare di fermare un conflitto, uccidere un paio di dittatori, studiare medicina e aiutare ed ispirare i ricercatori nella ricerca contro il cancro o l’AIDS o cose del genere. No: lei è e sempre sarà la musa misteriosa con la costellazione di nei sul viso.
Accanto ad Addie troviamo Henry Strauss: colui che riesce a trasformare l’ansia in frasi degne dei Baci Perugina, che affronta la vita e le sue paturnie una bottiglia di alcol alla volta e che pensa bene di risolvere i suoi evidenti problemi di autostima non con delle sedute dallo psicologo o diventando un gattaro (adotterà un gatto, ma solo dopo aver incontrato Addie perché a quanto pare ha la capacità decisionale di una nocciolina), ma stringendo un patto con un demone e rinunciando alla sua anima pur di piacere a tutti.
Di Henry inizialmente non si sanno che poche cose perché, nonostante il personaggio tenti di dare qualche informazione su di sé, l’autrice è sempre pronta a riportare l’occhio di bue su lei: Addie; salvo poi ricordarsi, a metà dell’opera, che forse è il caso di dare un po’ di background anche al love interest di turno.
Da ultimo ma non meno importante c’è Luc: il demone con cui Addie stringe il suo patto. Per gran parte del romanzo Luc, o l’Oscurità, è forse il personaggio meglio riuscito del romanzo, peccato che, alla fine, l’autrice abbia deciso di farlo impazzire come una maionese fatta in casa e abbia ridotto il cattivone di turno a un personaggio più piatto della linea dell’orizzonte. “Fenomenali poteri cosmici, in un minuscolo spazio vitale” ogni volta che Luc entrava in scena una vocina nella mia testa ripeteva in loop questa frase del Genio in Aladin e non solo per via della sua recessione, ma perché nonostante possa assumere la forma che preferisce si presenta ad Henry nella stessa forma in cui appare ad Addie ovvero assumendo le sembianze che lei gli aveva dato in un suo disegno da adolescente.

Il mio giudizio sul romanzo? 10/10.
Scherzo, ovviamente.
Il libro non merita nemmeno un voto di incoraggiamento, quindi non posso che dargli 2.5/10. Il romanzo sembra il frutto di un lavoro fatto frettolosamente e senza troppo impegno: la storia non ha ritmo a causa dei continui salti temporali tra il presente (2014) e il passato, la trama va avanti per situazioni e, il più delle volte, si tratta di capitoli inconsistenti e inutili studiati apposta per riempire le 400 pagine necessarie a giustificare un prezzo di copertina tutt’altro che economico. La scrittura di Schwab, solitamente pregevole, si riduce ad un mosaico di frasi preconfezionate che sanno di già letto, anzi “Déjà-vu. Déjà-su. Déjà-vécu.Già visto. Già provato. Già vissuto.” come ripete Addie ad ogni pié sospinto giusto per ricordarci che il francese è la sua madre lingua. I personaggi, come già detto, sono tutto fuorchè credibili e memorabili.
Se siete alla ricerca di un romanzo con tematiche faustiane e gotico, state alla larga da questo libro. Se, al contrario, siete alla ricerca di una storia d’amore lineare, struggente e con una protagonista femminile (apparentemente), allora La vita invisibile di Addie LaRue fa al caso vostro.

*Jo

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