Ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti è puramente voluto.
Ebbe luogo, nel lontano agosto del 2008, un viaggio che aveva lo scopo di mostrare a due giovanotti di 12 e 13 anni una parte del globo ancora interamente tra le mani di madre natura. Un idilliaco paradiso nordico in cui animali dal nome delicato ed evocativo avevano dimora da millenni.
L’isola dei Puffin.
Ora, sono certa che ce l’avesse un nome e che si trovasse in Norvegia e non mi interessa se tutte le ricerche condotte in internet a riguardo mi abbiano riportato ad un’isoletta vicino all’Islanda: faranno fede i miei vividi (più o meno) ricordi.
Ma partiamo dall’inizio.
Io, i miei genitori e mio cugino eravamo in crociera ed era giunto il fatidico giorno della visita all’isola dei Puffin.
Gli inserti pubblicitari di quella specifica gita sembravano vergati dalla mano di un poeta: i paesaggi erano descritti con parole altisonanti, probabilmente in disuso dal 1800; l’esperienza che ci accingevamo a vivere era unica ed irripetibile.
Immagino ci dovesse essere una profezia a riguardo, sicuramente, perché una così alta concentrazione di bellezze naturali non poteva non portare con sé la minaccia di non ripetersi per altri 10.000 (diecimila) anni.
Era davvero un’ottima pubblicità che lasciava al pubblico un certo grado di mistero.
Non potevamo non usufruire di quella fortunata coincidenza astrale e terrena.
Dunque, come dicevo, era giunto il giorno della partenza per la gita miracolosa che ci avrebbe portati a vedere i volatili più belli dell’universo.
Arrivati al punto di ritrovo, mentre aspettavamo l’autobus, una sola domanda aleggiava tra i presenti: cosa sono i Puffin?
All’epoca non esisteva ancora il roaming internazionale, i cellulari non avevano internet e l’unico modo per cercare una foto di un adorabile Puffin, o almeno la traduzione del suo nome, era accedere ad uno dei computer fissi presenti sulla nave, pagare e fare la ricerca in internet.
Le aspettative erano alte, la tensione palpabile.
Una vecchia signora, che chiameremo affettuosamente “Signora Joy Fun Travel”, spezzò il silenzio che si era formato nell’attesa del pullman e della guida.
Non ricordo le esatte parole, ma non potrei mai dimenticare la sensazione di smarrimento che provai nell’udire la frase:
– Qui a quanti metri siamo sul livello del mare?
Guardai la nave dalla quale eravamo appena scesi. Guardai la signora Joy Fun Travel e mi chiesi quale intelligenza superiore dovesse averla in quel momento ispirata per porre una domanda cui nessun altro mai (e chissà perché, eh?) aveva pensato.
Non trovò risposta, evidentemente nessuno di noi era abbastanza bravo a calcolare i centimetri ad occhio per dirglielo.
Fortunatamente, a spezzare l’imbarazzo creatosi dopo quella domanda troppo intelligente, fu la guida.
La guida incarnava tutto ciò che una tipica bellezza nordica non sarebbe dovuta essere: era cinese.
La salvatrice ci fece salire sull’autobus e tutti insieme partimmo. La meta? Un secondo porto dal quale avremmo preso la piccola barca rossa che solcava il mare del nord verso l’isola dei Puffin.
Durante il viaggio ottenemmo anche la risposta alla domanda “cosa sono i Puffin”.
Salendo, infatti, tutti quanti potemmo notare che seduto sulla prima fila di sedili e con la cintura di sicurezza ben allacciata, c’era un enorme peluche di una pulcinella di mare.
No, non poteva essere un Puffin, cercammo di consolarci tra di noi.
Non potevamo essere andati a vedere un’isola piena di semplicissime pulcinelle di mare.
Sull’autobus, i più bravi in inglese cercarono di convincere noialtri che i due nomi (Puffin e Pulcinella di mare) erano troppo diversi per rappresentare il medesimo uccello: quel peluche doveva solo essere il portafortuna dell’autista.
E invece no.
Non so dove avessero preso la laurea quei geniacci, ma i Puffin sono assolutamente, totalmente, inequivocabilmente delle pulcinelle di mare.
Rassegnati al nostro destino e con un certo imbarazzo, cercammo di fingerci entusiasti di quella scoperta. La nostra guida, molto cinese e poco norvegese, cercava di raccontarci, in un pessimo inglese, quali prodezze potevano compiere quei pennuti simili a pinguini ma dal nome più bizzarro ancora.
Il falso entusiasmo si trasformò in speranza nel vedere la barchetta sulla quale saremmo dovuti salire: somigliava a un piccolissimo battello di colore rosso che prometteva davvero tante avventure.
E infatti, arrivarono.
La navigazione per raggiungere l’isola dei Puffin (o meglio chiamarle Puffinelle di mare?) sarebbe durata all’incirca un’ora. Forse durò meno, ma me la ricordo abbastanza lunga e soprattutto agitata.
Il mare del nord sembrava voler a tutti i costi impedire a noi impavidi viaggiatori di raggiungere la meravigliosa isola dei Puffin. Era come se volesse tener lontano l’occhio umano da quell’incontaminato paradiso naturale; sottrarre l’isola alla mera logica economica dell’uomo occidentale che rende tutto, anche la perla più preziosa, oggetto del suo consumismo sfrenato.
Con il senno di poi, ritengo che il mare del nord desiderasse solo farci naufragare per risparmiarci una cocente delusione.
Devo sottolineare che durante il tragitto era data la possibilità ai naviganti di scendere sottocoperta e prendere un bicchierino-di-plastica di tè e qualche biscottino, ovviamente a pagamento.
E’ vero che era agosto, ma in Norvegia fa freddo comunque, quindi io e mio cugino decidemmo di godere di quella piccola dolcezza e, dopo aver costretto a pagare due turisti che volevano fare i furbetti, ci accingemmo a consumare il nostro tè.
Ora: io non soffro il mal di mare, lui, sì.
Con la stessa velocità di un battito d’ala di farfalla, il colorito di mio cugino passò da rosa intenso a verde oliva marcia e io ebbi la sensazione che anche la sua vita avrebbe avuto la medesima durata di quella dell’insetto.
A ciò si aggiunse che il tempo peggiorò. La barca si era fermata nei pressi dell’isoletta dei Puffin: uno scoglio senza vegetazione, non più largo di un paio di metri quadrati, e all’apparenza assolutamente privo di Puffin!
Le onde si inasprirono portando la barca a oscillare pericolosamente prima a destra e poi a sinistra, aggravando la nausea del mio povero cuginetto (io dovevo avere uno stomaco di ferro perché gridavo “wiii” correndo da una parte all’altra del ponte seguendo le onde) e mettendo a dura prova i nervi di tutti gli altri passeggeri.
Alle mie grida di giubilo si unirono quelle della guida che cominciò ad indicare un preciso punto dello scoglio sul quale, a suo avviso, era appena comparso un Puffin.
Immagino che tutti gli altri passeggeri fossero troppo occupati a pregare affinché la barca non si ribaltasse per poterlo notare, perché nessuno di noi lo vide.
Quello fu il solo avvistamento.
Per tutto il resto del tempo, la guida continuò a invitarci ad ascoltare il meraviglioso canto del Puffin (che poi immagino fossero le mie grida di gioia ad ogni onda).
Per quanto mi riguarda, fu davvero una gita stupenda, superiore ad ogni mia più rosea aspettativa: oltre ad avere un motivo per prendere un po’ in giro mio cugino, adesso ho un vero e proprio mistero da risolvere.
Dove diavolo sono finiti i Puffin dell’isola dei Puffin?
Rossana Omodeo Zorini
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