Comincio a togliermi i vestiti che non voglio sporcarli di sangue; il sangue è difficile da lavare.
Sorrido mentre tolgo la gonna e cerco in lui quella luce di cupidigia e desiderio che illumina il viso dei miei ‘clienti’: che ironia, loro credono di potermi avere ed invece non sanno che li avrò io. Soffoco una risata e lo guardo dritto negli occhi.
Strano, i suoi occhi sembrano tingersi di rosso e quasi non sento le parole che pronuncia:
“Ti voglio bene” mi dice.
Reprimo il brivido di piacere che mi percorre la schiena, è bello quando la preda si avvicina ignara al cacciatore, mi fa sentire forte, potente.
Da quando il barbiere ha cominciato a pagarmi con quella strana ‘carne di pollo’ non ho più sofferto la fame, ed anche se ora il barbiere è sparito, ho imparato abbastanza per cavarmela da sola.
Ricordo ancora la prima volta che ho ucciso un uomo; avevo paura ed ero eccitata allo stesso tempo poi, mentre lo facevo a pezzi, la paura è passata…
Da allora ne ho uccisi dodici, tu sei il tredicesimo mio caro, la paura è scomparsa del tutto ed i miei metodi si sono fatti più sicuri: un colpo di rasoio alla gola, un passo indietro per non farmi afferrare, la breve attesa prima che sopraggiunga la morte e poi il duro lavoro di macelleria.
Sono nuda , tengo il rasoio ben nascosto nella mano destra; mi avvicino sorridendo.
“Anche io ti voglio bene” gli dico con la mia voce migliore.
Mentre parlo, i miei pensieri volano: chissà quale sarà la prima cosa che assaggerò di te, chissà quanto mi renderai quando rivenderò quello che non riuscirò mangiare. Così, ad occhio e croce, direi che posso farci qualche sterlina: tra vestiti, quello che sicuramente hai nel portafoglio e… il resto.
Mi restituisce lo sguardo, in tutto questo tempo si è sfilato solo il mantello. Bello il vestito, con tutto quel nero non lo avevo notato prima, mi sa che ci faccio un sacco di grana con questo tizio.
A questo punto sono veramente allegra, mi avvicino ed apro il rasoio nella mano nascosta dietro la schiena; lui sorride e mi prende per le spalle. Che occhi enormi. Arriccia le labbra mostrando i denti.
“No, non hai capito: non ho detto ti voglio bene, ho detto ti voglio bere…”
Non riesco a muovere la mano, il rasoio mi cade, ho paura ma non riesco a scappare, che occhi enormi… , il dolore, il sangue scorre ma è il sangue sbagliato, fa male, fa male…
Nella stanza sembrava che una belva feroce si fosse scatenata sulla ragazza: solo la testa, staccata dal corpo, era stata rispettata nella sua interezza.
Brandelli di carne, flaccida e pallida, erano sparsi ovunque. L’uomo raccolse il mantello e se lo mise sulle spalle con un gesto leggero.
“Bene” disse posando lo sguardo su quello scempio.
Il suo lavoro era finito.
Gli altri lo aveva mandato a sistemare la questione, e lui lo aveva fatto al meglio, ricavandoci anche un piccolo spuntino ed un poco di divertimento.
In ogni caso il messaggio sarebbe stato chiaro per coloro che dovevano capire.
Questi mangiatori di carne umana stavano cominciando ad esagerare, qualcuno avrebbe potuto cominciare a porsi delle domande sulle persone scomparse, magari avrebbero anche cominciato ad indagare seriamente, e questa era l’ultima cosa che tutti loro volevano.
L’uomo, anzi, il vampiro, si avvicinò alla finestra e scomparve: ombra tra le ombre della notte.
Carlo Omodeo Zorini
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