La gondola

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Venezia ha un cuore di nebbia e misteri, di storie e segreti che di canale in canale e di calle in calle si diffondono tra le fondamenta e i campi.
La risacca sussurra e le nere acque della Laguna raccontano le storie che da un’isola all’altra hanno ascoltato.
Venezia, che degli amanti è alcova e tomba, nelle notti di fine novembre si veste di nebbia e di pianto e alle anime prave che la sera si attardano a passeggiare sulle fondamenta, racconta una leggenda di morte e d’amore.
Camminando sulle fondamenta di Riva degli schiavoni o trovandosi a rimirare la Laguna da Punta della Salute, può capitare di scorgere nelle fredde e pallide notti novembrine, tra i flutti neri e i lembi di nebbia, una gondola bianca ornata con rose e fiori bianchi ormai secchi, che lenta scivola tra i canali assopiti scortata da quattro lumini accesi.
Avvicinarsi a questa gondola così inusuale è proibito e il suo gondoliere invisibile e taciturno non conduce mai la sua imbarcazione verso un approdo.
Lui rema, rema in silenzio e quando il suo dolore si fa troppo forte, allora intona una triste nenia che i più scambiano per il rumore della risacca o per il fischio del vento tra le calli e i canali deserti.
Ascoltando questa melodia, apparentemente sconclusionata e anche un po’ stonata, si possono iniziare a percepire lentamente nomi e anni e lentamente le note si trasformano in parole che raccontano la triste storia di Nereo Tegan e Francesca Venturin.

Nel 1628 un giovane gondoliere al servizio di una famiglia benestante, si innamorò perdutamente della figlia di un nobile, tale Giovanni Venturin, e malgrado gli impedimenti sociali e le continue minacce del signore, iniziò un appassionato corteggiamento a cui anche la ragazza finì per cedere.
Quel sentimento corrisposto con pudore e timidezza, non era sufficiente per coronare il sogno d’amore degli amanti, alla cui felicità Venturini si opponeva fermamente, negando ai due giovani la sua paterna benedizione e il suo consenso alle nozze.
Esasperati dalla testarda resistenza del genitore, Nereo e Francesca decisero di scappare da Venezia e di andare a cercare la propria fortuna lontano dalla Serenissima.
Una serva, che aveva ascoltato di nascosto i loro propositi, corse a riferire il tutto al suo padrone che, nel colo del furore, strappò la figlia dai suoi propositi di fuga e la segregò nel monastero di Santa Croce sull’isola della Giudecca dove, ne era certo, le monache avrebbero saputo insegnare alla ragazza ribelle i sacri valori della morale, della virtù e dell’obbedienza.
Tuttavia, restava da risolvere il problema del gondoliere innamorato che non si sarebbe di certo lasciato fermare dalle sacre mura del monastero.
Venturini ordinò quindi a due sgherri di uccidere il gondoliere e di nascondere il corpo tra i canali della città: sicuro che i topi e le onde si sarebbero disfatti per lui dei resti del cadavere.
Con un trucco i sicari attirarono Nereo in una calle e lì lo affogarono, affidandone poi le spoglie ai flutti neri e omertosi che ingoiavano tutto senza fare domande.
Il lungo silenzio che seguì a quella notte di morte raffreddò il cuore di Francesca che, infine, si rassegnò a quella vita di preghiera e rinuncia decidendo persino di diventare, per la gioia del padre, monaca e prendere i voti.
I mesi passarono e la città fu avvolta per l’ennesima volta dal nero manto della peste. Uomini e donne, vecchi e bambini, ricchi e poveri, santi e peccatori morivano come mosche e come foglie avvizzite venivano raccolti e bruciati per contenere l’epidemia.
La peste, dio della morte e flagello dei vivi, alla fine trascinò con sé anche Venturini e la dolce Francesca, ma mentre il primo fu presto dimenticato, della seconda si continuò a parlare a lungo e con timoroso rispetto.
Dalla sua cella, ormai vuota e fredda, nella notte si sentivano provenire pianti e preghiere e nessuna messa o giaculatoria riusciva a calmare i lamenti di quello spirito in pena.
Poi, la notte del 21 novembre 1630, i pianti tacquero e il silenzio tornò ad avvolgere la Giudecca.
Quell’anima innamorata e triste si era arresa e infine era ascesa a quella gloria eterna che le spettava di diritto.
In quella stessa notte, a due anni dal vigliacco omicidio del gondoliere innamorato, una gondola bianca come la luna e splendente come una perla, iniziava silenziosa a solcare le acque della Laguna, diffondendo nell’aria il delicato odore di rose e fiori d’arancio.
Da allora Nereo naviga solitario e triste tra le isole e i canali di Venezia, scortato da quattro lumini, che segnalano la sua presenza e avvertono gli altri barcaioli, i gondolieri e i vaporetti.
Trai banchi di nebbia pallida e le onde nere e dense, Nereo naviga e di tanto in tanto canta nella speranza di richiamare a sé la sua amata che nemmeno la morte ha riportato tra le sue braccia.

Devyani Berardi

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