Non ci resta che leggere

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“Tra febbraio e marzo del 1992 passammo notti intere insonni davanti al televisore a seguire il Moro di Venezia gareggiare nell’America’s Cup. Papà preparava la postazione del divano solo per noi due, con un vassoio di biscotti preparato per l’occasione e due sedie piazzate a mo’ di poggiapiedi… Io non avevo ancora compiuto 15 anni e lui era già il mio eroe.”

Sembra una storia come tante altre, probabilmente il classico libro che una madre regalerebbe ad un figlio appena entrato nell’adolescenza e in pieno conflitto con quello che, fino a qualche anno prima, era il suo eroe: il padre. Potrebbe essere il libro ideale, una storia romantica, nostalgica e commovente che tiene incollati dalla prima all’ultima pagina e regala anche qualche lacrima. E’ la storia scritta da Salvo Riina, figlio del più tristemente famoso Totò Riina, che con questo romanzo cerca di riscattare la figura del padre mostrandolo nella sua quotidianità fatta di televisione ed altre istantanee che mirano a darci un quadro più umano di uno dei più efferati criminali italiani.

Quella che vi voglio proporre è una riflessione un po’ diversa da quelle che sicuramente avete sentito o letto in questi giorni, non intendo accodarmi allo scandalo sollevato dal programma televisivo “Porta a Porta” né cavalcare le onde di sdegno che si sollevano sul web e i social Network. Vorrei semplicemente guardare con voi la questione da un punto di vista ancora diverso.

Partiamo da una domanda e cerchiamo di trovare insieme una risposta: perché si scrivono libri? Il motivo principale è quello di voler raccontare o spiegare qualcosa, il più delle volte si tratta di storie, in altri casi di informazioni più o meno accademiche riservate perciò ad un pubblico più ristretto. Si scrive perché qualcuno legga e conosca la vostra opinione su un determinato argomento. E’ sempre stato così: dai geroglifici, alla Bibbia, passando per il Mein Kampf per finire con gli ultimi libri che troviamo oggi sui nostri scaffali. L’uomo ha bisogno di raccontare la propria storia e la storia della sua gente, di riflettere e di tramandare ad altri le sue domande e le sue certezze. In questo, che si sia figli di un pittore, di un medico o di un criminale, siamo tutti uguali. Non mi scandalizza quindi l’idea che un criminale abbia scritto un romanzo e che questo sia stato pubblicato (sulle motivazioni potrei essere un po’ più critica, ma voglio trattenermi). Quello che davvero dovrebbe indignarci è l’eco mediatica che questo libretto ha scatenato: un coro stonato che nel bene e nel male sta regalando pubblicità gratuita a questa vicenda che ha dell’assurdo e del grottesco. Non diamo la colpa all’Italia, lei non c’entra, puntiamo il dito verso di noi e verso il nostro cianciare ininterrotto, il nostro farci imperatori del mondo attraverso il pollice di Facebook.

Certo, è grottesco che un mafioso utilizzi i libri per raccontarsi, i libri che sono il simbolo del pensiero libero, che sono ali di carta tese verso la libertà, la bellezza e la giustizia e che, specialmente dove la criminalità organizzata è più forte, vengono troppo spesso tarpate. E’ grottesco, quasi assurdo, ma forse il rischio della letteratura è anche questo: accettare tra le sue fila testi che vorrebbero spezzare la libertà di pensiero e di parola come successe con il tristemente noto Mein Kampf di Hitler. Così come è assurdo che questo neo scrittore venga osannato sui social network, mentre altri più coraggiosi ed umili siano costretti a girare con la scorta.

Tuttavia, insisto nel dire che la colpa non è di Riina jr, ma nostra e della nostra continua fame di sensazionalismo. Nell’antica Roma il popolo voleva “panem et circenses” oggi ci basta “panem et scandalum”. Cambiano i secoli, ma non l’uomo e se prima la nostra bocca chiamava leoni, sangue, e violenza; oggi chiama vittime e carnefici, scandali su cui sparlare e su cui avventarci come leoni, azzannandoci tra di noi e ruggendo per far sentire la nostra voce.

E’ stato uno sbaglio pubblicare questo libro? Forse. Come ho già detto non posso criticarne l’autore che ha avuto solamente la sfortuna di nascere in una famiglia di criminali, probabilmente se fosse stato il figlio di un fioraio qualunque avremmo tutti ugualmente osannato il suo libro e lo avremmo anche comprato con più serenità. Da biasimare è la casa editrice che sicuramente ha visto in questo manoscritto l’occasione per farsi un bel po’ di pubblicità e di riempirsi stomaco e tasche con il polverone mediatico che è stato sollevato, ma questa è una storia diversa su cui non dobbiamo fossilizzarci.

Chi è il colpevole, se un colpevole deve essere portato davanti al tribunale del web, in questo brutto fattaccio all’italiana? Noi. Noi che chiediamo alla tv, al web, e ad ogni mass media nuovi scandali con cui drogarci. L’invito di Bruno Vespa di questo autore al programma “Porta a Porta” è certamente vergognoso, ma ancora più vergognoso il nostro sbraitare perbenista per poi correre ad osannare altri criminali la cui fama ha magicamente sbiancato la fedina penale (ai nostri occhi).

Scrivere articoli come questo non è facile, anzi, è difficilissimo perché richiede di prendere posizioni su temi delicati che hanno causato profonde ferite nella storia del nostro paese. Quello che io scelgo, dopo aver letto e sentito tanto su questa storia,  è il silenzio. Non un silenzio che sa di omertà, ma di rispetto nei confronti di chi per colpa di Cosa nostra ha perso la vita, famigliari, amici,… . Voglio pensare a loro e a quanto debbano sentirsi abbandonati e calpestati mentre gli assassini dei loro cari sono sotto i riflettori. Voglio pensare a quella piccola libreria di Catania che ha preso una posizione ferma, coraggiosa e coerente esponendo un cartello in cui avvisava la clientela che non sarebbe stato possibile ordinare o comprare il libro di Riina.

Non ci resta che leggere. Non ci resta altro contro quest’onda di ignoranza, perché la verità è che il vero colpevole è l’ignoranza che si fa sempre più forte distruggendo la società, che fare cultura leggendo per noi e per gli altri. Diffondere pensieri di libertà, verità, bellezza e giustizia. Aprire ali di carta e riparare quelle di chi ha visto le proprie calpestate e stracciate.

Vi lascio, in conclusione, la canzone i Fabrizio Moro. Un ultimo grido che vuole ricordarci di pensare al bello e al buono, al coraggio e all’impegno di chi per questo paese ha pagato il prezzo più alto.

*Jo

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