Tra le pagine dell’incubo – Un biglietto di sola andata da Oceania a Panem

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Abbiamo già parlato nell’articolo “La letteratura che uccide la speranza” del genere YA (= Young Adult) e questa sera voglio fare con voi un ulteriore passo avanti analizzando quello che è il principale cavallo di battaglia di questo neo genere.

Come è già stato detto nell’articolo sopracitato, la colpa, o il merito, del genere YA è quella di incentivare una produzione letteraria pressoché identica dove situazioni e trame rimangono più o meno le stesse con piccole e necessarie differenze come l’ambientazione e i nomi dei protagonisti. Un fenomeno analogo ha interessato il settore della letteratura erotica che, cavalcando lo tsunami di scandalo e scalpore provocato da “Cinquanta sfumature di grigio”, è riuscita a conquistarsi nelle librerie un reparto autonomo e dignitoso al pari delle scansie dedicate ai fantasy, ai thriller o ai classici.

La forza di questo genere è, come già sappiamo, una trama focalizzata sul conflitto tra eroe/eroina e una società chiusa, sorda ed egoista che il più delle volte si declina in un sistema autarchico che il/la protagonista deve distruggere.

La distopia, termine coniato nell’ottocento dal filosofo britannico John Stuart Mill, è usato per riferirsi a condizioni sociali, politiche e storiche avverse a quelle che ci si potrebbe trovare in un’utopia. Il più delle volte sono delle profezie laiche in cui lo scrittore riversa le proprie paure per il domani esagerando gli aspetti negativi della società in cui vive, in altri casi può invece trattarsi di satira come nel caso de “Il grande dittatore”(1940)  film di Charlie Chaplin che ironizza sulla figura del Fuhrer.

La distopia è la letteratura di chi ha paura. Se si guarda alla storia della letteratura e del cinema, si può notare come il genere distopico veda la sua ribalta nei periodi di maggiore crisi o in prossimità di eventi che, come l’avvento del nuovo millennio, risvegliano in noi paure ancestrali che trovano qui una valida valvola di sfogo. E’ una lunga storia che dall’inizio del ‘900 sembra non aver mai visto un definitivo tramonto e che intreccia la letteratura e il cinema. Una tradizione che ha Orwell come padre, è stata tramandata ai fratelli Wachosky ( autori della trilogia di “Matrix” (1999) ed è infine approdata, passando per “V per Vendetta” della DC, sui nostri scaffali e sui nostri schermi grazie a saghe come “Hunger Games”, “Divergent”, “The Maze Runner”, “The Giver”,… .

Quella che stasera vi voglio proporre è una riflessione su questo genere che, a mio giudizio, è stato fin troppo abusato negli ultimi tempi e in cui sono stati stipati romanzi che di distopico hanno solo l’etichetta, ma non la sostanza.

Abbiamo già dato a grandi linee una definizione di “distopia”, per cui possiamo passare ad analizzare velocemente quelle che sono le ambientazioni dei racconti distopici e quali sono i tratti su cui scrittori e sceneggiatori si sono maggiormente concentrati nel corso degli anni.

Condizione sine qua non è la guerra che porta alla nascita di un nuovo governo e di una società di sopravvissuti. Ciò che a mio parere rende un romanzo distopico un romanzo di successo, o almeno degno di essere letto, è un contesto storico e politico plausibile. “1984” (1948) di Orwell è ambientato in un’Inghilterra del futuro in cui il socialismo ha vinto sul liberalismo e il capitalismo, una neo nazione, Oceania, in cui la privacy del cittadino è azzerata e l’intera vita del cittadino è in funzione del sistema “Socing”. Quella di Orwell è, ovviamente e fortunatamente, una società inventata le cui radici però affondano nel contesto storico e politico in cui Orwell scrisse il suo più famoso romanzo. Lashapeimage_2 seconda guerra mondiale è finita già da tre anni, ma le tensioni tra Alleati e URSS non si allenta e Berlino è divisa tra questi due schieramenti. La propaganda americana, che fino a qualche anno prima ha diffuso piccoli spot in cui metteva in guardia dai pericoli del nazismo, può ora dedicarsi completamente alla dittatura di Stalin e descrivere con dovizia di particolari quali siano le condizioni di vita sotto il regime comunista ( in questo periodo anche Captain America, il soldato nato per combattere i nazisti, fa della lotta al comunismo la sua nuova missione). L’Europa, come ho già detto, ha ancora negli occhi le atrocità compiute dalle SS di Hitler e la OVRA di Mussolini, la riservatezza di molti è stata violata e ogni scheletro nell’armadio è già stato portato alla luce o gettato definitivamente in fondo ad un pozzo per evitare problemi. Il Grande Fratello è quindi lo spauracchio perfetto per un popolo, come quello inglese, che ha sentito sul collo il freddo respiro della dittatura hitleriana. Gli occhi onniveggenti del Big Brother, che ricordano l’occhio in cui si trasforma l’antagonista de “Il Signore degli anelli”(1937-1949) e attraverso cui Sauron spia indisturbato ogni forma vivente della Terra di Mezzo, non sono solamente il mezzo attraverso il quale si semina il terrore e si mantiene l’ordine, ma sono anche e soprattutto la paura più grande di un europeo ancora “fresco di dittatura”, l’evoluzione elettronica, e meno controllabile dal cittadino, della Gestapo o degli organi di controllo delle dittature del ‘900. Uno scenario simile, che segue di qualche anno il romanzo di Orwell, ci viene presentato da Bradbury nel romanzo fantascientifico “Fahrenheit 451” (1953) dove la società sembra regredire, la televisione è ormai onnipresente e sempre più invadente nelle case degli spettatori e i libri sono messi al bando e bruciati da quelli che comunemente dovrebbero spegnere gli incendi: i pompieri. I roghi dei libri richiamano i tristi falò che i nazisti organizzavano nelle piazze tedesche, mentre la televisione interattiva, invadente e a tratti inopportuna sembra, oltre che una macabra profezia di quello che è sotto i nostri occhi quotidianamente, l’esagerazione di un fenomeno sociale che si faceva sempre più spazio nella vita dei cittadini americani. Altro ed ultimo esempio, questa volta preso dal cinema, è quello della trilogia dei fratelli Wachosky “The Matrix” (1999) in cui la distopia è governata da macchine super evolute create all’alba del XXI secolo e che, come nel peggior incubo di Asimov, hanno ridotto l’umanità in schiavitù creando per essa una realtà virtuale che non gli permette di distinguere la realtà dal Matrix. In questo caso le paure che ispirano questa trilogia cinematografica sono tante: il millennio ormai alle porte (saranno anche passati mille danni dall’ultima volta in cui è successo, ma alcune paure non muoiono mai del tutto), software e sistemi operativi sempre più efficienti, l’invasione sempre più massiccia dei computer non solo sul luogo di lavoro, ma anche nell’ambiente domestico. Gli occhi del Grande Fratello sono andati incontro ad un aggiornamento e lo spionaggio si svolge sul web. La violazione della privacy continua ad essere la paura centrale di queste dittature più o meno plausibili che, malgrado la loro natura fittizia, nascondono tra le proprie pagine profezie più o meno avveratesi sul futuro che noi ora stiamo vivendo: la riservatezza e lo spazio domestico calpestati ai fini di indagini di mercato, l’egemonia della televisione ormai sempre accesa nelle nostre case, la tecnologia sempre più intelligente e, per certi versi, invasiva nella vita di tutti i giorni.

Ovviamente questi sono solo alcuni esempi, citarli tutti sarebbe impossibile e rischieremmo solamente di fare una gran confusione, ma sono sufficienti per mettere in evidenza una cosa: gli autori di questi romanzi o sceneggiature conoscevano la storia, la loro storia, quella che leggevano sui giornali o ascoltavano alla radio. Le loro dittature sono al 50% fantasia e al 50% verità ed è per questo che, leggendo “1984” o “Fahrenheit 451”, sentiamo sempre un brivido lungo la schiena mentre assistiamo ai roghi dei libri o all’indottrinamento delle masse. I romanzi distopici “pre Hunger Games” sono romanzi per persone con una coscienza non solo morale, ma soprattutto storica e sociale. Sono per lettori che hanno ben chiari i rischi di una dittatura, che hanno studiato gli effetti di sistemi autarchici come il nazismo, il fascismo e il comunismo e che quindi si guardano bene dall’intraprendere strade che portino nuovamente a nuove sanguinose tirannie.

Al contrario i contesti storici delineati nei romanzi come Hunger Games&Co. sono una cornice il più delle volte tracciata di fretta e senza alcuna connessione con i fatti storici che stanno scuotendo il mondo dal 2001 ad oggi. Resta costante il tema del conflitto armato come causa principale che porterà all’origine della nuova dittatura: guerre civili, nucleari, mondiali che riportano l’umanità all’anno zero e la costringono a ricostruire un mondo che ha, per certi versi, del primitivo con una netta distinzione in classi sociali tipiche delle antiche società del Mediterraneo. La nuova letteratura distopica è un’antologia che si concentra maggiormente sui prototipi letterari che non sul contesto in cui le nuove distopie attecchiscono. I miti greci del Labirinto di Creta, della città di Atlantide, dei tributi che Atene doveva mandare annualmente sull’isola di Minosse o della repubblica così come pensata da Platone. L’immagine bella e terribile del gladiatore che nell’arena affronta ed uccide uomini e belve, la storia di Spartaco da schiavo a ribelle, da gladiatore a guerriero,…; ciò che noi occidentali abbiamo per secoli dato per scontato e obsoleto è, agli occhi di un popolo orfano di una sua mitologia classica come il popolo americano, un’autentica manna, una caverna delle meraviglie da cui attingere sempre nuovi spunti per scontri generazionali e lotte di classe. Leggendo la saga di “Hunger Games” (2010) viene spontaneo pensare non solo al mito di Teseo e il Minotauro, ma anche ai gladiatori e alla rivolta di Spartaco. Lo stesso labirinto è presente in “The Maze Runner” (2009), ma in questo caso con la funzione di prigione da cui si deve evadere e non entrare. La saga della Roth “Divergent” (2011) mescola il mito di Atlantide, città all’avanguardia in tutte le scienze e guidata da un governo utopico, con la repubblica idealizzata da Platone: una società guidata dai saggi, la classe d’oro, e divisa in classi in cui ogni individuo viene inquadrato appena finita l’infanzia.

Siamo di fronte ad una nuova letteratura che, in barba agli insegnamenti di Orwell, è più preoccupata a dare ai propri romanzi un retaggio antico, che non un contesto storico se non credibile almeno coerente con l’attuale periodo storico che stiamo vivendo. Sopravvive la paura per la privacy violata, l’inquadramento in un sistema in cui tutto è già controllato e le tecnologie sempre più sofisticate. Il terrorismo, che rappresenta una minaccia paragonabile solamente a quella del nazismo, sembra non aver mai scosso le coscienze di queste società sospese in un indefinito futuro, la caduta delle Torri Gemelle, la tragedia dei profughi, la corsa e la guerra per le risorse come gas e petrolio sono state gettate nel dimenticatoio  e solo “V per Vendetta”, riportando l’ambientazione nel Vecchio continente, dà qualche accenno a queste tematiche che si sono negli anni sempre più aggravate. La letteratura distopica dell’ultimo quinquennio ha fallito spegnendo, esattamente come un televisore, le coscienze dei lettori che, alla fine, diventano spettatori assetati di sangue al pari degli abitanti di Capitol City (la capitale di Panem nei romanzi di “Hunger Games”), lettori vampiri che strepitano per leggere l’ultimo volume della loro saga preferita per sapere quale personaggio morirà e chi vivrà.

Quello che sui nostri scaffali manca, e che mi auguro di trovare molto presto, è un romanzo distopico che si rifaccia, o almeno prenda insegnamento, dai romanzi di Orwell o Van Dick( per citare nomi nuovi). Una storia nuova, con protagonisti maturi e un contesto storico credibile che dia al lettore una prospettiva temporale di al massimo un secolo. Un romanzo non solo di piacere, ma che obblighi il lettore a riflettere sul periodo storico che stiamo vivendo e a misurarsi con le conseguenze catastrofiche a cui, se non prestiamo attenzione, potremmo andare incontro.

*Jo

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4 risposte a "Tra le pagine dell’incubo – Un biglietto di sola andata da Oceania a Panem"

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  1. Post molto interessante! Condivido quello che hai scritto, saghe come Hunger games, che ho letto, non possono nemmeno essere messe a confronto con 1984 e affini. infatti una volta finito di leggerla ho pensato “Rispetto al povero Winston a Katniss le è andata di lusso!”

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    1. Per prima cosa grazie per aver dedicato del tempo alla lettura del mio articolo. Non posso che condividere il tuo pensiero: a Katniss (e agli altri protagonisti dei nuovi “distopici”) è andata bene, fin troppo bene. Quello che questi nuovi romanzi non sottolineano è il fatto che i protagonisti delle “distopie vecchio stampo” erano dei perdenti nel senso letterario del termine, ma questo è un discorso che verrà affrontato a breve in un altro articolo sulle “nuove distopie”, quindi non intendo rovinarti la sorpresa. Continua a leggerci e non mancare di farci sapere la tua opinione, per noi è sempre molto importante!

      *Annrose

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