La letteratura che uccide la speranza

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Demoni, semidei, cacciatori di vampiri, guerrieri e maghi sono i personaggi che dominano sul panorama letterario da quando, nel lontano 1997, un maghetto occhialuto si fece timidamente spazio tra gli scaffali inglesi per poi conquistare, nel giro di qualche anno, le librerie di tutto il mondo.Oggi Harry Potter è un fenomeno rilegato nella letteratura per l’infanzia e, confrontato con gli eroi che si sono fatti spazio negli anni successivi, appare come un genitore o un mentore che dolcemente guarda alle nuove generazioni di beniamini letterari.

Questo breve articolo non è un salto nel passato né vuole essere un ricordare vecchie glorie imprecando sulla letteratura contemporanea. Quella che vi voglio proporre è una riflessione sul neo-genere degli Young Adult (abbreviato YA) e sull’impatto che essi hanno sulla nostra società e cultura.

Ci tengo, prima di iniziare questo piccolo articolo, a ringraziare la pagina Galassia Cartacea per lo spunto che mi ha dato e per avermi aiutato a comprendere meglio questo fenomeno che mi era quasi completamente sconosciuto.

Per prima cosa cerchiamo di tracciare un identikit di questo genere che, silenziosamente, è arrivato ad occupare gli scaffali delle nostre librerie.

In questo caso è di fondamentale importanza giudicare il libro dalla copertina: le saghe di questo genere hanno copertine il più possibile simili le une alle altre, una scelta editoriale che si basa sul ricordo più o meno positivo che una determinata grafica può suscitare nel potenziale lettore, una sorta di camuffamento che fa sì che la giovane preda di turno acquisti il nuovo romanzo X, ovviamente il primo di una saga (il canone prevede almeno una trilogia), considerandolo un fratello minore, e quindi altrettanto valido, del romanzo appena divorato ed amato. Parlo per esperienza: ho amato il primo libro di “Hunger Games”, ma quando sono usciti “The Maze Runner” e “Divergent” mi sono accontentata di vedere in streaming le versioni cinematografiche per poi ringraziare di non aver speso soldi inutilmente.

Il secondo requisito è, come già detto, la realizzazione di una saga di almeno tre libri. Ripropongo la mia esperienza: come ho già detto ho amato il primo capitolo di “Hunger Games”; la trama era avvincente, i personaggi ben fatti e la scelta del narratore in prima persona (che avevo sempre snobbato) mi ha letteralmente fagocitato in questo mondo di caste e lotte all’ultimo sangue. Quando poi sono usciti gli altri due capitoli il mio entusiasmo è lentamente scemato e l’unica motivazione che mi ha portato a completare la saga è stata la curiosità di vedere come si sarebbero concluse le avventure di Katniss Everdeen. Il problema delle saghe è quindi, a mio giudizio, questo: vendere al lettore storie che sono un continuo rimestamento di situazioni già viste, già conosciute, ma raccontante da un punto di vista differente. E’ eclatante a questo proposito il caso di Veronica Roth (l’autrice della Divergent Saga) che dopo averci raccontato le avventure della protagonista femminile, si è prodigata a raccontarci la stessa storia dal punto di vista del coprotagonista maschile. Se non è zuppa è pan bagnato, si dice dalle mie parti, eppure la ridondanza delle trame e la loro prevedibilità non sembra rappresentare un freno per queste saghe attira soldi.

Forse a questo punto dovrei spezzare almeno una lancia in favore degli scrittori di saghe, ma per questo ci sarà tempo e modo in un altro articolo.

Il terzo, e forse principale, tratto distintivo degli Young Adult è l’età dei protagonisti: adolescenti che, in barba ad una tradizione letteraria di giovani ribelli le cui gesta sono finite in tragedia, ingaggiano lotte, a volte anche violentissime, con le generazioni che li hanno preceduti per riprendersi un futuro di cui si sentono derubati. Il genere Young Adult è fatto per gli Young Adult: per quel pubblico la cui età oscilla principalmente tra i quindici e i vent’anni e in cui, per via dello sviluppo e il crescente entusiasmo per il mondo, è normale provare ribellione, desiderio di sovversione, di cambiamento. Un’età bellissima in cui la rincorsa del sogno “ce la posso fare” “cambierò il mondo” è quanto mai allettante e può solo essere resa più avvincente dalla condivisione di questa missione con i propri beniamini letterari. Altre volte, invece, come nel caso di “Colpa delle stelle” di John Green il conflitto si limita ad un’esagerazione dell’incomprensione che qualunque adolescente sperimenta verso i propri genitori, enfatizzata, in questo caso, dalla tragica condizione del cancro.

E’ il conflitto perenne tra le generazioni che mi fa definire il genere Young Adult una letteratura che uccide la speranza. Ogni epoca ha il suo genere letterario e probabilmente tra crisi economica, guerre, terrorismo e preoccupazioni quotidiane che non serve che io stia a ricordare; è normale che la letteratura proponga scenari catastrofici, tragici e distopici in cui la fiamma della speranza viene tenuta accesa dalla gioventù. Ma è davvero speranza quella che sentiamo una volta chiuso il libro? Riusciamo a guardare con più ottimismo alla realtà una volta finito di leggere “Hunger Games”, “Divergent” o “The Maze Runner”? La realtà è che il nostro occhio, ormai saturo di scenari distopici prontamente distrutti dall’eroina improvvisata del momento, getta occhiate ipercritiche al mondo e il conflitto giovani/adulti che si è vissuto nel romanzo viene trasportato alla vita di tutti i giorni. Guardando le cronache di tutti i giorni è normale sentirsi persi, spaventati e domandarci che fine faremo noi e questo mondo sempre più scalcagnato. Quello che, a mio modesto parere, è l’errore principale delle soluzioni proposte da questi romanzi è il totale rifiuto del proprio passato, la distruzione della propria storia che, perché scritta dagli adulti tirannici, è sbagliata (e poco importa se ti ha nutrito fino a quando le tue smanie rivoluzionarie non sono esplose come conseguenza naturale della pubertà). Victor Hugo, scrittore che ha visto e scritto di rivoluzioni (prima che diventasse una moda) ha detto: “Fate come gli alberi: cambiate le foglie e conservate le radici.” un invito a rinnovare le proprie idee e le proprie convinzioni, avendo tuttavia coscienza delle proprie radici e facendosi guidare da chi prima di noi ha percorso il nostro cammino. Ho già detto di non voler osannare la ormai datata saga di Harry Potter, ma a questo punto mi sento obbligata. Come ho già scritto i romanzi della Rowling possono essere considerati gli antenati dei recenti Young Adult (se avete letto o visto “Percy Jackson” è impossibile non rivedervi una trasposizione di Harry Potter dove i maghi sono semidei e le creature magiche, mostri della mitologia greca e romana) perché soddisfano i tre criteri che abbiamo elencato poc’anzi. Tuttavia lo scontro, che si svolge tra un ragazzo e un adulto, non è un tentativo di rovesciamento del sistema (al contrario è Voldemort il ribelle di turno che cerca di imporre la propria legge), ma un tentativo di sistemare garantire la vittoria del bene sul male, un obbiettivo il cui retaggio affonda le radici nelle saghe di Lewis e Tolkien. Un traguardo che il giovane mago, come Frodo e i fratelli Pevensie prima di lui, riesce a raggiungere solo grazie agli esempi e agli insegnamenti che riceve dagli adulti che lo accompagnano lungo i sette anni scolastici e che lo portano a diventare l’uomo e il padre che compare nell’ultimo capitolo della saga.

*Jo

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